

Negli ultimi anni, il sistema sanitario italiano ha vissuto un profondo cambiamento nella gestione dell’emergenza-urgenza, con effetti diretti sui cittadini e sulla qualità delle cure. Tra il 2011 e il 2023 , sono stati chiusi ben 115 presidi di Pronto Soccorso su scala nazionale: da 808 si è scesi a 693, una riduzione del 14%. Si tratta di un fenomeno che non riguarda solo le statistiche, ma che ha ripercussioni concrete sul territorio e sulla vita quotidiana delle persone.
La chiusura di questi punti nascita dell’assistenza sanitaria d’emergenza ha comportato inevitabili conseguenze: aumento dei tempi di attesa, maggiore sovraffollamento nelle strutture rimaste aperte, e un allungamento delle distanze che i pazienti devono percorrere in caso di bisogno. In alcune aree del Paese, la scomparsa di un Pronto Soccorso ha lasciato intere comunità senza un punto di riferimento immediato, soprattutto in contesti periferici o rurali dove ogni minuto può essere decisivo per salvare una vita.
Ma a rendere ancora più complessa la situazione è un dato apparentemente contraddittorio: nonostante il numero complessivo dei presidi sia diminuito, è aumentata la percentuale di medici specializzati che lavorano nei Pronto Soccorso ancora operativi. Secondo le statistiche ufficiali, oggi ci sono più specialisti rispetto al passato all’interno delle strutture rimaste. Questo sembra suggerire un miglioramento della qualità professionale nel settore emergenziale.
Tuttavia, molti esperti sollevano dubbi su questa tendenza. Alcuni indicano che si tratta semplicemente di una concentrazione del personale : i medici che prima erano distribuiti in 808 Pronto Soccorso ora sono concentrati in 693, quindi la proporzione di specialisti per struttura è salita. Altri avanzano ipotesi più preoccupanti: la riduzione delle strutture potrebbe aver spinto i giovani medici a specializzarsi ulteriormente per accedere a posti di lavoro sempre più competitivi, creando un circolo vizioso in cui si investe sulla specializzazione per compensare la mancanza di organico generico.
Inoltre, anche se i medici presenti sono più qualificati, ciò non significa necessariamente che il sistema sia più efficiente. Con meno presidi e lo stesso o addirittura maggiore afflusso di pazienti, l’aumento di specializzazioni potrebbe non bastare a garantire un servizio equilibrato e capillare su tutto il territorio. Si corre il rischio che la qualità teorica non si traduca in una reale capacità di rispondere alle esigenze della popolazione.
La chiusura di un Pronto Soccorso non è solo un fatto amministrativo, ma una questione sociale ed etica. Ogni struttura chiusa rappresenta una perdita per la comunità locale, un indebolimento della rete sanitaria e una riduzione del diritto alla salute, soprattutto in condizioni critiche.
L’articolo conclude lanciando un appello alle autorità sanitarie: è necessario fare chiarezza su questo scenario, capire se il trend dei medici specializzati riesce davvero a colmare il vuoto lasciato dalle strutture chiuse, e intervenire per evitare che la sanità pubblica diventi sempre più una promessa sulla carta piuttosto che una realtà tangibile.
. Ma se non si garantisce una copertura diffusa del territorio, l’efficienza statistica non potrà mai sostituire la vera accessibilità alle cure.
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