di Vera Martinella

Lo studio Usa: lavorare di notte fa salire le probabilità di ammalarsi di cancro

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Stravolgere i ritmi sonno-veglia potrebbe influire negativamente sul sistema immunitario, indebolirlo e «facilitare» l’insorgenza di un tumore. Nuove prove sono contenute in uno studio condotto da ricercatori della Washington State University Health Sciences Spokane coinvolgendo volontari che si sono offerti di simulare turni lavorativi notturni e diurni: le conclusioni mettono in luce come interrompere la naturale alternanza fra giorno e notte renda le persone più vulnerabili a subire danni al Dna in porzioni genetiche collegate al cancro e, contemporaneamente, renda meno efficaci i meccanismi di riparazione del Dna stesso. Sebbene siano già stati raccolti diversi indizi sui potenziali pericoli del lavoro notturno, anche questa ricerca non arriva a conclusioni definitive. Già nel 2007 uno rapporto coordinato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione (Iarc) di Lione aveva incluso il «lavoro su turni che comporta un’alterazione dei ritmi circadiani fra i possibili fattori che agevolano la carcinogenesi», cioè la formazione di un tumore.PUBBLICITÀ

Lo studio fa luce sulla «rottura» del ritmo circadiano

«Innanzi tutto bisogna precisare che si tratta di un possibile rischio – spiega Shobhan Gaddameedhi, tra gli autori dell’indagine appena pubblicata sulla rivista  Journal of Pineal Research -. Non è una certezza, ma una probabilità su cui la comunità scientifica sta facendo i dovuti accertamenti da anni, raccogliendo un numero crescente di informazioni su ampi numeri di persone. I meccanismi alla base del pericolo però non sono ancora chiari ed è in questa direzione che ha voluto andare il nostro lavoro».La possibile spiegazione dell’aumentato rischio di cancro per le categorie professionali che spesso lavorano di notte andrebbe ricercata nella «rottura» del ritmo circadiano, che regola l’alternanza fra sonno e veglia e che controlla numerose altre funzioni biologiche e che viene alterato in chi fa turni molto variabili su 24 ore. Per avere ulteriori conferme gli scienziati Usa hanno reclutato 14 volontari che hanno trascorso una settimana in un apposito laboratorio del sonno all’interno della Washington State University: una metà ha simulato i turni di un normale impiego diurno e l’altra metà quelli di un lavoro notturno. Gli esiti degli esami del sangue poi appositamente eseguiti indicano, nel secondo gruppo, alterazioni in molti geni collegati al cancro e una minore capacità di auto-riparazione del Dna proprio in chi ne ha maggiormente bisogno perché ha subito i danni maggiori dai propri turni impiegatizi.

Un’ipotesi nata negli anni Trenta su cui si raccolgono dati

Operai, panettieri, medici, infermieri, forze dell’ordine, assistenti di volo, piloti, addetti ai call center (solo per fare degli esempi) potrebbero, insomma, andare incontro a influenze negative sul proprio sistema immunitario, che intervengono su quei meccanismi che favoriscono lo sviluppo di una neoplasia e lo rendendo meno capace di difendersi. Il sospetto sulla pericolosità dell’impiego serale viene da lontano: era già sorto negli anni Trenta del Novecento quando, con l’avvento dell’attività industriale su larga scala e della relativa alternanza dei lavoratori, si iniziò a notare un aumento nell’incidenza di diverse neoplasie. Sono poi state raccolte maggiori prove sul lavoro notturno come fattore di carcinogenesi dagli anni Ottanta, quando alcune ricerche hanno ammesso l’esistenza di questa possibilità in popolazioni di lavoratrici notturne, nelle quali emergeva un aumento inspiegato di tumori mammari. Un dato confermato anche in anni più recenti su infermiere e assistenti di volo e su varie tipologie di lavoratori su rotazione, che hanno dimostrato un rischio accresciuto di carcinoma del colon. A risultati simili si è poi giunti con un’analisi su uomini (steward e piloti di aerei), che si ammalerebbero di più di cancro della prostata. «Tutti questi studi – aggiunge Gaddameedhi – forniscono spunti e ipotesi interessanti, ma non sono omogenei nei criteri di ricerca e non quantificano allo stesso modo gli orari e i periodi di servizio. C’è ancora molto lavoro da fare per giungere a conclusioni certe». 

FONTE: Corriere della Sera On LIne

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